Sei anni

Empatico. Generoso. Sognatore. Intelligente. Curioso. Con tanti interessi. Simpatico. Vivace. Forte. E anche un po’ pagliaccio.

Sono queste le parole che agli ultimi colloqui le tue maestre hanno usato per descriverti. Hanno imparato a conoscerti bene, se hanno usato le stesse che avrei usato io. Solo che tu non sei solo questo. Non sei un bambino perfetto, e non vorrei che tu lo fossi. Sei perfetto per me, però.

Sei esattamente il bambino che avrei scelto, se me ne avessero dato la possibilità. Sei un sole grande che illumina tutto quello che ha intorno. Sei il mio arcobaleno. Sei il mio personale miracolo. Sei il pensiero più bello delle mie giornate. Sei il mio ballerino preferito, e anche il cantante. Sei lo scienziato che un giorno inventerà qualcosa per aiutare tutti. Sei il mio cavaliere senza macchia. Sei la parte più colorata del mio cuore.

Buon compleanno, amore mio.

Una madre

Non sono mai stata una grande appassionata delle cosiddette arti visive; sarà anche per la mia manualità pari a quella di un moscerino spiaccicato sul parabrezza. In questi giorni però sto studiando per l’esame di storia dell’arte moderna e mi sono ritrovata sul libro questa. È stata un’emozione incredibile, un groppo in gola che non c’era verso di far scendere giù. Non lo so perché. Certo, è un capolavoro assoluto. Certo, sembrano vivi. Ma non è stato questo. Sarà che l’ultima volta che l’ho vista dal vivo l’idea di diventare madre non era proprio contemplata dal mio cervello, sarà che da quando lo sono vivo le emozioni diversamente. Non lo so. Io qui ho visto solo una madre disperata che tiene con tutte le sue forze il corpo senza vita del figlio. E lo fa con una dignità incredibile. Quella mano sotto l’ascella. Quella mano mi sembra il centro di tutto. Poco importa che siano Maria e Gesù: sono una madre e un figlio. Morto. E mi sono chiesta come si faccia a non morire di dolore. Perché se il mio cuore era a pezzi nonostante ogni volta non sapessi ancora neanche il sesso dei miei figli frettolosi di volare, quando un figlio lo hai visto, baciato, cresciuto, accudito, brontolato, come si fa a lasciarlo andare? Quando hai miliardi di ricordi con lui? Quando è il centro di tutto? È la mia unica, grande paura. Prego di non saperlo mai. E niente, è ufficiale: sono diventata una pappamolle😅

#lottomarzo

Più di un anno fa ho deciso che non volevo più accontentarmi della strada battuta, della mia “comfort zone”, oggi si dice. Prima, mesi di seghe mentali solo mie perché non volevo ammettere con nessuno di sentirmi scontenta, affaticata per un lavoro che non sentivo più mio. Quando ne ho parlato prima con mio marito e poi con il resto della famiglia, tutti mi hanno circondata di quell’affetto e di quella carica che mi ha dato il via definitivo. Oggi sto lavorando al mio progetto, la strada è ancora lunga e tutta in salita, ma essere felici significa lavorare duramente, con passione, superare la stanchezza e gli occhi che si chiudono perché devi, anzi, vuoi, raggiungere il tuo obiettivo. E ce la farò. Nessuno può immaginare quanta determinazione nascondo, se voglio. So che in confronto alle lotte che la maggior parte di noi donne devono affrontare è cosa da nulla. Sarei stupida se non me ne rendessi conto. Ma rimettersi in discussione alla soglia dei 40 anni, abbandonare tutto e ricominciare da capo con marito, figlio, casa, cane non è stato facile. È stato come però riportare tutto a casa (semicit. che in pochi coglieranno). Ecco perché non solo oggi, ma #lottomarzo tutto l’anno. Perché chi si accontenta non gode, fidatevi.

4 anni

Amore mio,

compi 4 anni oggi. Stai crescendo in fretta e io non posso fare altro che guardarti crescere e diventare indipendente, con un po’ di malinconia per quando ero l’unica di cui tu avessi bisogno, ma con l’attesa dell’Uomo che diventerai. Non ti è ancora molto chiaro cosa vuol dire essere grande e essere piccolo, o forse sì, ma usi questi due metri a seconda del tuo tornaconto immediato.

Perché mi dici di essere grande, ma sei piccolo quando devi rimettere a posto i giochi e “non ce la faccio”. Mi dici di essere grande, ma sei piccolo quando ti dico che è ora di abbandonare il biberon per la tazza per fare colazione col latte e “no, mamma. I bimbi piccoli come me usano il bibelon”. Allo stesso tempo mi dici di essere piccolo, ma hai dimostrato di essere grande, grandissimo anzi, nell’aver superato tutto da solo il tuo momento no all’asilo, senza il nostro intervento.

Sei un bambino eccezionale e ci hai insegnato cosa significa convivenza in un mondo nuovo e con equilibri già creati.

Te l’ho detto tante volte quanto sono stata e sono fiera di te, ma non immagini neanche come mi si possa gonfiare il cuore quando ci penso.

Ho così tanto da imparare da te, ho così tanto da sbagliare ancora per diventare una brava mamma. Tu continua, ti prego, a darci queste lezioni e ti prometto che io e il babbo ce la metteremo tutta per diventare dei genitori se non bravi, almeno passabili, perché sei la cosa più bella e preziosa della nostra vita.

Buon compleanno, cuore mio.

La mamma

Dell’arcobaleno e delle stelle

Un anno fa scrivevo questo per un’associazione. Oggi, ancora una volta è una giornata un po’ così. Di quelle in cui vorresti solo stare a guardare il cielo perché sai che loro sono proprio lì. Non passa giorno in cui non ci pensi almeno un attimo, ma oggi è la loro giornata, come se fosse un compleanno. Una festa. Un giorno dedicato a loro. Oggi voglio pensarli ogni attimo.

Spartiacque

Lunedì si inizia la materna. Uso il plurale perché insieme a lui è come se cominciassi anch’io. In questi ultimi mesi è cresciuto tantissimo. Sa lavarsi viso e denti da solo, non fa più la pipì a letto, gioca da solo, sa descrivermi le sue emozioni, fa discorsi da grandi. È una cosa dolce, struggente, bellissima e spiazzante vedere tuo figlio crescere. Sapere che ogni giorno di più diventa una persona a sé, che ogni giorno di più avrà meno bisogno di te per le piccole e grandi cose. Come se quel cordone che vi univa e vi rendeva un’unica cosa si stesse sfilaccicando sempre di più, diventando sempre più sottile. Vivo questi ultimi giorni come fossero uno spartiacque fra il lui neonato e il lui bambino. Quando era piccolo piccolo non vedevo l’ora che crescesse un po’ perché per me è stata davvero dura tirare fuori quell’istinto materno che tutte mi dicevano dovessi avere. C’era, ovvio, e sapevo di amarlo incondizionatamente, ma mi sentivo soffocare per non avere un attimo per me e la mia solitudine, quella sì innata davvero. Ora è davvero più semplice: la notte dorme quasi sempre, di giorno se stiamo insieme è comunque capace di stare da solo a giocare, parliamo, scherziamo, ridiamo, ci arrabbiamo, ma tutto ha un senso. Però. Però i momenti in cui piccolissimo aveva bisogno di me non ci saranno più e io me lo sento scivolare via. Mi abbraccia spesso e mi dice che lui è il mio bambino e io la sua mammina, che non vuole un’altra mamma, che vuole proprio me. Presto tutte queste coccole diminuiranno e quasi si vergognerà ad abbracciarmi. È normale e fisiologico, ma so che devo imprimermi bene in testa, nel cuore e ovunque dentro di me questi momenti. Il fatto che lui rimarrà sempre il mio bambino è secondario a quanto lo amerò sempre qualunque strada sceglierà di percorrere, chiunque sceglierà di pregare o se dovesse scegliere di non farlo proprio, qualunque lavoro farà, chiunque sceglierà di amare, ovunque la vita lo porterà. Perché la sua felicità è l’unica aria di cui ho davvero bisogno per non soffocare.

Buon compleanno

Piccolo mio,

compri tre anni oggi. Tre anni in cui hai riempito e colorato la mia vita. In cui ho avuto così poco tempo per pensare a come fare la mamma, che l’ho fatto e basta. Ti chiedo perdono quindi per le mie mancanze perché so molto bene di essere una mamma imperfetta. Non ho mai seguito alla lettera la tabella dello svezzamento, non ti ho fatto dormire nel lettone, non mi sono mai preoccupata tanto se la Dora ti dava una leccatina o se a 10 mesi non eri in grado di ballare il twist mentre contavi fino a 20 in aramaico, mi capita di dire parolacce in tua presenza, non mi preoccupo se quando ti dico “NO” tu insisti e batti i piedi cercando di farmi pena, che quando il capriccio passa ti comporti come se nulla fosse, quindi vuol dire che forse non sbaglio a non cedere, non sono gelosa quando dici “ti voglio tanto bene e ante un basino” al babbo o alla nonna, non ti faccio lavare le mani ottanta volte al giorno, cerco di farti mangiare sano, ma insomma, se è la salsiccia che vuoi, salsiccia sia. Insomma… Sicuramente potrei fare meglio, ma io sono così, topino. Non riesco ad essere perfetta, o forse non voglio. Però sai, amore mio, quando la sera vado a letto e vengo a controllare nella tua “tameletta” che tu sia coperto e che tu stia dormendo tranquillo, mi chiedo se tutte le mamme del mondo provano quello che provo io per te: è come se la parte più grande del mio cuore fosse staccata dal mio corpo e non mi appartenesse più perché sta giocando, dormendo, guardando i cartoni, correndo, o sta facendo qualunque altra cosa stai facendo te. Per questo voglio che tu sia felice. Perché solo se tu sei felice e realizzato, posso esserlo anch’io. Voglio che tu sappia che la tua mamma sarà sempre orgogliosa di te e ti amerà con tutto il cuore e anche di più qualunque cosa accada, qualunque saranno le tue scelte nella vita, ovunque vivrai, chiunque amerai. C’è una canzone della Mannoia alla quale sono molto legata, si intitola “In viaggio” e parla di una madre e delle raccomandazioni che dà a sua figlia che andrà lontano. Ecco, tutto quello che la Mannoia dice nella canzone, io lo dico a te. Ricordati piccolo che “l’umiltà apre tutte le porte e che la conoscenza ti renderà più forte”, che “l’onestà non è un concetto vecchio”, ma soprattutto “rivendica il diritto ad essere felice, non dar retta alla gente, non sa quello che dice”. Cresci, ascolta, osserva, leggi, parla, discuti, arrabbiati. Ma soprattutto – ecco, forse è questo l’augurio più grande che possa farti in questo giorno – pensa sempre con la tua testa. Sempre.

Buon compleanno, amore mio.

La mamma

Premonizioni

Lui è in salotto a giocare con le sue macchinine. Io in cucina a piegare i panni stesi. Arriva e con una vocina piccina piccina mi dice: “mamma? Ome falò senza di te?”. Io l’ho abbracciato forte e gli ho detto che ci sarò sempre ma… dite che è meglio se mi vado a fare un check-up completo, faccio controllare i freni alla macchina, metto un corno rosso al collo e mi butto un pizzico di sale dietro alla schiena? A parte gli scherzi… Mi ha spiazzato. Sarà che gli sto dicendo spesso che lunedì si torna all’asilo? Sarà che inizia il periodo del distacco? Sarà che prende tutto quello che sente da noi, dalla tv, dagli estranei e poi lo ridice? Sarà che sta crescendo e io non sono pronta? Non sono pronta. Ecco.

Fragili equilibri

Sono una donna. Sono una mamma. Sono una lavoratrice. Sono una moglie. Sono una figlia. Sono una sorella. Sono un’amica. Soprattutto sono una mamma, però. Una mamma che cerca di dare il meglio a suo figlio. Che tutto il giorno corre come una trottola, cercando di arrivare ovunque senza pesare su nessuno. Mi dicono, certamente a ragione, che sono fortunata a lavorare part-time. Ma la mattina è una corsa contro il tempo comunque. Ogni mattina. Mi alzo alle 6.45 per uscire di casa alle 8.40. Prima di svegliare il piccinaccolo, cerco di rendermi umana, faccio la cacca (eh, si. Almeno quella con calma, che se no la giornata comincia subito male), chiamo mille volte mio marito che si alza sempre all’ultimo secondo tanto ci sono io che penso a tutto, facciamo colazione e poi mi dedico a lui. Mentre lui prende il latte, cerco sempre di avvantaggiarmi (stamani per esempio ho pulito i due bagni con una velocità che manco Speedy Gonzales), poi tra un capriccio e l’altro lo lavo e lo vesto. Finalmente siamo pronti per uscire, ma lui ogni mattina ha qualcosa per fare tardi: ha sete, vuole un’albicocca, vuole la macchinina della polizia, non vuole il grembiule, vuole portare all’asilo tutta la cesta dei giochi… Finalmente usciamo, ma la Via Crucis ha ancora una stazione: i sassi vicini alla macchina. Tutte le mattine devo portarlo via di peso. Arrivo a montare in macchina che ho già la stanchezza di un giorno intero in ufficio. E la giornata è solo all’inizio. Lo porto all’asilo e vado al lavoro. Spero. Spero di farlo sempre, perché so che sono anch’io a rischio. So che potrei dimenticarmelo in macchina. So che lo amo più della mia vita, ma potrei dimenticarlo. E non vivere più, dopo. Non si può dire “a me non succederebbe”. Anzi, #potevasuccedereancheame